Daniele Manni: proviamoci!

Daniele Manni: proviamoci!

insegna informatica e auto-imprenditorialità presso l’Istituto “Galilei-Costa-Scarambone” di Lecce. Vincitore del Global Teacher Award.  I suoi insegnamenti vanno oltre i programmi scolastici e aiutano i ragazzi a crescere e ad avere un futuro nel mondo imprenditoriale, perché tutto è possibile.

Diciamo che siamo una scuola strana. Ed effettivamente un po’ strani siamo. E a proposito di stranezze, il Terzo Paradiso ci sta dentro tutto.

Una volta entrato in classe è stato il mio guaio. 

Mi sono innamorato degli studenti. Non era il mio amore la scuola, ma se non fossi entrato, non l’avrei scoperta. Non avrei mai fatto in vita mia l’insegnante.  Entrandoci ho scoperto un mondo meraviglioso. E lì ho capito una cosa. Che bisogna buttarsi nelle cose. Bisogna spesso dire sì. Sì, proviamo. Sì, vediamo di che si tratta. 

Quando eravamo lì a fare i voti sulle pagelle, a fine anno, mi dicevo:

Ma com’è che non riesco a trasmettere a questi ragazzi questa voglia di imparare.

Allora ho smesso di fare l’imprenditore e ho deciso di portare tutto quello che avevo imparato nella scuola. Quando ho iniziato quello che sto per raccontarvi, meravamo fuori. Eravamo folli. Non seguivamo il programma ministeriale. Forse facevo un terzo o un quarto di quello che raccontava il Ministero.  Gli studenti iniziavano a vincere premi. Premi e riconoscimenti. Soprattutto internazionali.

Cambiare comunicazione

I contadini non se la prendono mai con le piantine, se non crescono nel modo giusto. Dobbiamo comprendere che se la piantina non cresce come desideriamo, dobbiamo cambiare qualcosa. Cambiare comunicazione, con quella persona in particolare. Perché è facile, facilissimo insegnare ai bravi. Noi dobbiamo invece concentrarci sugli altri.

Tutti abbiamo una particolarità speciale

I bravi sono bravi. Ai bravi diamo la possibilità di volare. Ai meno bravi dobbiamo parlare in maniera diversa. E tutti abbiamo una particolarità speciale. Voi non lo sapete. Voi siete fortunati a partecipare a questo progetto che spiega cose che da tanti anni io amo. Voglio cercare di spiegarvi che ognuno di voi è speciale.

In quale ambiente ti ami? 

Voi siete fortunati. Noi docenti, in genere, non ve lo facciamo capire che ognuno di voi è speciale. Non ve lo chiediamo neanche. Noi entrato in classe, spieghiamo la nostra materia, ci arrabbiamo se non la studiate, vi mettiamo brutti voti se non la studiate: non siamo mai a dire:

Ok. Non ti piace la matematica. MA cosa ti piace? Cosa ami?  In quale ambiente ti ami? 

All’inizio, magari, non rispondete. Ma poi stuzzicati, iniziate a venire fuori e a dire:

A me piace lo skateboard. Non vedo l’ora di uscire per andare a correre con gli amici. Prendere gli skate e fare acrobazie.

A quel ragazzo che mi dice questo, io dico:

Bellissimo! Fichissimo. Che ne diresti se iniziassimo a progettare una nuova tavola? Progettiamo un nuovo skate. Una nuova forma, una nuova grafica. 

Lì, vedi che il ragazzo accende gli occhi:

Come? A scuola mi dici di disegnare un nuovo skate? 

Certo.

E tu che ti vergogni di dire che ami giocare alla Playstation…

Ok. Fichissimo. E se inventassimo un gioco? E’ più fico giocare o creare un gioco a cui ci giocano gli altri. Ti piace seguire la moda? Bellissimo. E’ più bello seguire la moda o cimentarsi a disegnare qualcosa? A provare a cucire, a mettere su una nuova gonna, una felpa diversa con una grafica particolare. 

Spingo i miei ragazzi 

In questa scuola spingo i miei ragazzi ad inventarsi una start-up. Devono inventare un nuovo servizio, un nuovo prodotto. Qualcosa da mettere sul mercato. 

Una classe ha inventato delle felpe, un’altra ha inventato un nuovo modo di vendere l’olio extravergine d’oliva. Ora una classe sta lavorando per vendere diversamente le frise. Stiamo inventando il Lecciopoli: vogliamo che si venda che si venda tanto. Ci stiamo divertendo da matti a creare tutte le pedine, tutte le cose le carte di probabilità e imprevisti: da noi si chiamano Mancu li cani e Iata a mie. Guardiamo proprio l’aspetto economico della cosa. Siamo in contatto con un’azienda di Torino che ce lo pubblicherà e i ragazzi stanno imparando che a marzo devono consegnare tutte le grafiche, se vogliono che a giugno si cominci ad arrivare al materiale realizzato. Perché a settembre deve essere fatta la promozione e il marketing, se vogliamo che a Natale sia un oggetto di punta. Abbiamo perso forse due, tre settimane per capire cosa volevamo fare. Una volta capito, non ho spiegato nulla alla lavagna: abbiamo fatto come fa un imprenditore, cominciando a buttarci proprio nel mercato. Realizziamo come fa un imprenditore, perché quel prodotto lo vogliamo veramente mettere sul mercato, per fare i soldi. 

Perché poi i ragazzi vendono questi prodotti: l’olio viene venduto realmente, le felpe vengono vendute. Abbiamo la cooperativa che vende bene. Il ragazzino di 14 anni, 15 anni può guadagnare fino a 1.500, 1.800 euro al mese, praticamente con la sua invenzione.

Noi dobbiamo inventare cose senza soldi

Nel caso del Lecciopoli, per questo gioco,  proprio l’altro giorno ho parlato con il signore di Torino che mi ha fatto una domanda: 

Ma volete che noi siamo editori o soltanto gli stampatori? Se dobbiamo essere noi gli editori i 13, 15mila euro  che servono per stampare 1000 giochi non ce li date, ma il gioco il nostro:  voi progettate tutto e i soldi li mettiamo noi. Avrete diritto ad una percentuale.

L’alternativa è che dobbiamo cacciarli noi quei soldi: il signore il stampa e giochi sono nostri, i guadagni sono nostri. Ma per partire dobbiamo avere quei 13 15 mila euro. Allora, trattandosi di Lecciopoli, sulle varie pedine della tavola noi non metteremo Viale dell’Università o Via Imperatore Adriano che  vie di Lecce, ma quel negozio di occhiali, quel negozio di abbigliamento, quel negozio di scarpe: quelli che probabilmente ci daranno 800,  1000 euro per stare su quella tavola. Sponsor particolari, diversi perché stanno sulla tavola. Dico sponsor diversi perchè possono essere attratti: c’è questa voglia di dire: pur di dare una mano a questi ragazzi, di dare loro una spinta, sì, va bene.

Fare. Io adoro il verbo fare

Quando mi propongono cose, rispondo: Fallo. L’unico modo per scoprire se viene bene è farlo. Allora vedete ragazzi che hanno questa voglia di fare, questa voglia di mettersi in gioco.  Mettiamoci a disposizione dei ragazzi. Chiediamo loro.

…Disegni così bene. Non me l’hai detto che disegni così bene.  

Mettetevi nei panni di quel ragazzo: la settimana prossima la sua scuola gli commissionerà un lavoro.  Sicuramente gli proporremo di disegnare un fumetto per un’altra classe, per un altro progetto, per un’altra idea. 

Io vado raccontando

Che dobbiamo concentrarci sugli studenti e non più sul programma in nome dell’amore per i nostri dei nostri studenti. Al diavolo il programma! Viva quella possibilità che ogni ragazzo e ragazza possa trovare un’espressione. 

Voglio dirvi proprio un segreto: ci riconosciamo

Da quando faccio meno informatica, i miei ragazzi sono più bravi in informatica, perché se entro in empatia con tutti i miei ragazzi, allora quasi si vergognano di non studiare. Si vergognano di farsi trovare impreparati. Perché siamo talmente in linea, facciamo la scuola così bella, che si vergognano. Ci riconosciamo. Ho scoperto in molti ragazzi che c’è questa specie di voglia di non deludermi. Ecco: la mettiamo su questo questo piano.   Prima di quella verifica, prima di quell’incontro, si preparano un po’ di più proprio per questo motivo. 

La qualità, non la quantità

Noi sappiamo che non è la quantità che fa il risultato, la qualità. Quando all’inizio dell’anno scolastico conoscete una nuova classe, non abbiate proprio timore. Le prime due settimane, il primo mese, non fate la vostra materia. Entrate in empatia. Raccontatevi. I ragazzi amano sentire le nostre storie personali. Noi non le raccontiamo mai. Amano ascoltare le nostre storie. Me ne sono accorto anni fa, quando mi è scappata una cosa privata. 

L’empatia

Ho capito che raccontando i fatti privati si crea quell’empatia, con cui cominciano a comprendere che tu non sei il nemico che sta lì, ma uno di loro che ha le stesse debolezze e che fai squadra. Creare questa empatia è bellissimo, perché tu entri in quella classe e la classe non vede l’ora che tu possa entrare a fare qualcosa è vero. Che si romperà un po di più le scatole quando dovrò spiegare qualcosa di informatica. Che preferirebbero fare Lecciopoli, un video su Tik Tok, ma sanno che fa parte del gioco. Non voglio esagerare, ma i ragazzi vengono a scuola volentieri, perché ai ragazzi piace entrare in quest’ambito, viene data vita alla loro creatività. Vengono ascoltati i loro errori, i loro tentativi. Vengono stimolati a fare cose, a fare cose nuove, ad agire.

Partecipare ai contest

Con le competizioni non vincono. Non vincono. Ma quella volta che invece arrivano sul podio,  quella volta che ricevono il tablet in omaggio, per loro è una cosa strepitosa. Perché lo hanno fatto. Hanno partecipato con un loro prodotto, hanno realizzato mini video, hanno realizzato un testo, ha realizzato qualcosa su un tema qualsiasi. Si sono impegnati. Hanno fatto cose diverse dalla scuola. Hanno applicato creatività e addirittura sono stati premiati.