Il digitale è reale

Il digitale è reale

Francesco Piersoft Paolicelli, Open Data Manager, è il testimone asincrono del progetto 8. Mondo digitale nel reale, per non essere mai soli.

Non so perché c'è questa distinzione. Il digitale è reale: è uno strumento che usiamo ogni giorno. Il problema è che spesso nel digitale manca la parte umana.

Usiamo il digitale per qualsiasi cosa

Trent’anni anni la fonte del sapere era la biblioteca, era una cosa reale, da toccare con mano, una cosa concreta. Oggi la prima cosa che ti viene in mente è cercare su Google. Ecco: il digitale spesso e volentieri crea questo corto circuito. Ti fa accedere immediatamente all’informazione e tu credi che quello sia reale. Rispetto a questo, Umberto Eco ci ha messo in guardia.

Oggi si parla di seconda vita nel digitale 

Esistono anche programmi che si chiamano proprio Second life: realtà parallele dove tu sei un avatar,  sei un soggetto digitale che vive in  questa realtà parallela e lì si possono avverare tutti i sogni del  mondo. Credo che la difficoltà più grande oggi sia proprio quella di navigare in questo mondo digitale, della ricerca di informazioni e della seconda vita, il Metaverso di Zuckemberg. D’altra parte è una grandissima opportunità. Pensa agli anziani, ai disabili, alle persone non si possono spostare. Possono visitare i musei, possono fare navigazioni virtuali, possono vedere i quadri, sapere in tempo reale quello che succede  dalla parte opposta del mondo. Questa opportunità 50 anni fa non c’era.

Il fatto che succede alla tua testa non vuol dire che è finto: è comunque reale

La difficoltà più grande è che non si riesce spesso a distinguere la realtà quotidiana, concreta dei nostri affetti, delle nostre relazioni reali, da questo mondo virtuale, che diventa la tua stanzetta segreta, dove tu dialoghi con te stesso e con gli altri. Alla fine vedi il mondo riflesso di te stesso.

Il problema è etico

Non si insegnano ai ragazzi gli strumenti per poter decodificare questa realtà ulteriore: il digitale fa parte della realtà, non riusciamo a insegnare ai nostri figli come poter vivere anche in quella realtà, a discernere quello che è giusto da quello che è sbagliato o semplicemente quello che è vero da quello che è falso.

La questione è alla base della cittadinanza digitale, perché tu, nel mondo del digitale, poi anche forzare l’opinione pubblica, puoi fare propaganda. Lo vediamo: dagli scandali di Cambridge Analytica, alla pubblicità politica, fino alla guerra. Non avere capacità cognitive per poter decodificare questo mondo digitale fa in modo che tu lo subisca: è una cosa assolutamente reale. Impatta sulle tue scelte quotidiane, da una scelta di un acquisto, a un profumo o a un suono, da un’opinione politica ad una qualsiasi percezione della realtà.

Sei dentro a una frattura

Per vivere la rivoluzione digitale, come in tutte le rivoluzioni, non puoi usare i canoni di decodifica della realtà che esistevano prima della rivoluzione per capire quello che succede dopo la rivoluzione. Sei dentro una frattura: quella frattura dove creare nuovi strumenti, nuovi processi, nuovi valori educativi.

Te la faccio semplice

È diventato molto complicato. Questo eccesso di informazioni implica un aumento profondo della nostra capacità cognitiva, per capire e discernere il significato di quelle informazioni.

Il digitale, 01, funziona per logiche acceso-spento dei circuiti, ma i circuiti, le macchine, i robot, l’intelligenza artificiale, qualsiasi cosa tu metti in digitale, non comprende il significato di quello che tu stai dicendo. Può fare delle interpretazioni, è sempre un algoritmo che fornisce l’uomo, ma l’uomo è una macchina superiore rispetto alla macchina fisica del digitale. Deve fare l’uomo: deve avere capacità cognitive molto profonde, di poter accedere la fonte, di poterla decodificare, visualizzare, anche con strumenti differenti rispetto a quelli classici.

Tu sai bene cosa penso della scrittura

La scrittura è abbastanza inutile oggi nel terzo millennio, se vuoi usarla come unico strumento per decodificare il mondo. Il digitale aiuta tantissimo in questo, ma non basta. Ci vuole il testo, la scrittura, il video, ci vuole la complessità. In una società fluida, come dice Bauman, la complessità ha messo in ginocchio la nostra capacità culturale di capire il mondo che ci circonda.   

II digitale è un ulteriore strumento tecnologico

La tipografia è stata uno strumento tecnologico fondamentale per normalizzare l’accesso un testo scritto. Il digitale è andato oltre. Ha creato i font. C’è la nuova professione dei designer, che sono capaci di trasformare un concetto in una forma visuale e spesso infografica, in mappe che ti permettono di cogliere il significato più profondo di quello che, con una tabella asettica di numeri, non riesci a cogliere o non riesci a trasmettere.

Probabilmente ci vuole un Terzo Paradiso

Ci vuole una capacità di andare oltre e mixare per passare, dopo la rivoluzione digitale, a un nuovo mondo.

 

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