Veri fino in fondo

Veri fino in fondo

Tonio De Nitto, regista, e Fabio Tinella, attore, co-fondatori di Factory Compagnia Transadriatica sono i testimoni asincroni del progetto 3. Essere capaci di comunicare oltre i limiti, per trovare la strada

Quando ti confronti con delle soggettività molto forti, tutto questo lo devi reinventare. Non lo ricostruisci da solo. Lo devi ricostruire con l'altro.

Quello che si vede

È che tutti ci prendiamo cura di tutti. È il rapporto con l’altro. Superare il nostro limite diventa proprio un’attitudine e ci aiuta a vivere meglio. Quel momento di non sapere cosa fare lo viviamo emotivamente e in maniera creativa. Allora capisci quanto è forte, quanto è ampio e quanto è straordinaria la vita. Capisci che tu, in realtà, sei un pezzetto che si può aprire e che può, grazie agli altri, diventare un puzzle molto più grande e scoprire tante strade.

Sono veri fino in fondo

Non c’è proprio un limite tra la verità e la finzione. Sono veri fino in fondo e questo lo abbiamo scoperto, anche facendo le prove con Francesca cosa per il Diario di un brutto anatroccolo. Per Francesca non esisteva una prova. Per lei fare quella scena e ripeterla dieci volte voleva dire fare la scena esattamente come lei voleva farla per dieci volte di seguito, con la stessa carica di emotività e di sofferenza. Veramente si caricava di un’energia straordinaria. Era completamente dentro e non ammetteva che gli altri non fossero dentro allo stesso modo come lei. Non era concepibile fare una cosa in maniera approssimativa. La prova, così come lo spettacolo, era esattamente come doveva essere: totalmente dentro, dall’inizio alla fine.

Presenti e spiazzanti

Nel momento in cui si lavora sono talmente presenti che sono spiazzanti, anche rispetto all’approccio.

Il principe azzurro di Cenerentola non è il principe azzurro canonico. Questo principe azzurro è obeso: molto bello, ma tenerissimo. Un essere fragilissimo, con una carica poetica importantissima. Anche il loro il codice che instaurano in scena è meraviglioso. lo reinventano in quel momento. Nel loro modo di comunicare, da due mondi totalmente lontani e alla fine estremamente vicini, c’è ognuno di noi, che può scoprire di essere un cigno.

Attraverso Francesca

Questa diversità è qualcosa che abbiamo tutti quanti. Usando il pretesto di Francesca, fondamentalmente raccontiamo noi stessi e tutti i momenti della vita in cui ci sentiamo emarginati, non accettati, non accolti, inadeguati.

Attraverso Francesca ogni spettatore rilegge la sua storia. Rilegge i momenti in cui s’è sentito tagliato fuori dalla vita, da quella che gli altri intendono normalità.

Io sono più per lo spiazzamento totale

Noi abbiamo avuto l’approccio di artisti, ma il nostro ruolo superava i limiti delle categorie. Questo progetto ha mischiato così forte le nostre carte, che anche noi siamo stati toccati in maniera molto forte. Così forte, che abbiamo deciso che da ora in poi creiamo un laboratorio permanente per persone con disabilità. Non cerchiamo di ospitare nella nostra programmazione degli spettacoli con artisti disabili o che trattano temi che riguardano persone con disabilità. È una nuova sfida. In tutti i laboratori cambiano le persone e devi costruire un linguaggio comune.

Non riuscivano a capire il confine

C’è questa cosa: io sono più per lo spiazzamento totale. Le persone sono spiazzate. Ce lo hanno detto. Non riescono a capire. In Hubu Re succedeva. Non riuscivano a capire il confine, fra il normale e il no. C’era una tale armonia tra gli attori con disabilità e senza, c’era una tale follia, la follia comune di tutto questo gruppo, era indecifrabile, era indefinibile.

E quando la gente vedeva Hubu, Hubu Re, abbiamo visto persone che alla fine dello spettacolo ridevano, erano felici. Questo per noi era il termine giusto del risultato, dell’atto comunicativo. Sulla scena portano la loro isteria, il loro diventare fumetto.

Dove sei, padre Hubu che ti acchiappo.

Da lassù.

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